Giovanni Battista De Curtis, poeta, pittore, scultore e illustratore italiano nacque a Napoli il 20 luglio 1860 da Giuseppe De Curtis, pittore-decoratore, e da Elisabetta Minnon, nipote di Saverio Mercadante. Giambattista era primo di sei figli, dopo di lui nasceranno Oreste, Emilia, Ernesto, futuro celebre musicista, Eugenio e Federico, pittore "fiorista".
Trascorse l'infanzia e l'adolescenza nella bottega d'arte del padre, pittore di una qualche notorietà. Pittore diventerà lui stesso, molto amato dalla borghesia napoletana non solo per le qualità di ritrattista ma soprattutto per la versatilità nell'affrescare, con dipinti allegorici molto in voga a quei tempi, soffitti di saloni e salotti.
Alla canzone, Giambattista De Curtis si accostò per pura combinazione. Abitava infatti in via Rosaroll, accanto alla casa del musicista Vincenzo Valente ove, ogni sera, si riunivano esponenti della musica napoletana. Frequentandoli, Giambattista si ammalò del loro stesso morbo al punto che un giorno mostrò al già celebre Vincenzo Valente alcuni versi dal titolo buffo: "Che buò fà?" ('A pacchianella) Il maestro non li disprezzò troppo e anzi, per incoraggiare il ragazzo, li musicò. Per anni ed anni il pittore Giambattista De Curtis continuò ad "esercitarsi" dedicando canzoni a questa e a quella ragazza. Faceva, di quelle canzoni, anche la musica, pur essendo solo un orecchiante. La canzone, per Giambattista, rappresentava nient'altro che un passatempo. Con Vincenzo Valente scrisse altre belle canzoni tra cui "Ninuccia" e "Tiempe felice", con Eduardo Di Capua la splendida "'E giesummine 'e Spagna" ma la collaborazione più proficua fu quella col fratello Ernesto e non si interruppe nemmeno quando, nel 1922, Ernesto De Curtis si trasferì in America con il grande tenore Beniamino Gigli. Ernesto scriveva puntualmente a Giambattista, inviandogli la musica per le canzoni che egli gli faceva pervenire per posta.
Nel 1891, Giambattista fu invitato dal sindaco-albergatore Guglielmo Tramontano a Sorrento, per decorare il famoso albergo. L'amicizia era bella e fatta. Giambattista diverrà un vero e proprio membro della famiglia Tramontano e dimorerà con essa sei mesi all'anno. Decorerà corridoi, pareti e soffitti, diverrà l'istitutore di tutti i figli e nipoti del sindaco, sarà il corteggiatore spesso fortunato di tutte le belle straniere che prenderanno alloggio nell'albergo. Giambattista era dongiovanni quanto il fratello Ernesto era monogamo.
Nell'anno successivo, 1892, Giambattista, già trentaduenne, incontrò Carmela, colei che doveva ispirargli la sua prima celebre canzone. Bighellonava nel parco dell'albergo, l'artista, quando vide una bruna e meravigliosa contadinella sui sedici anni entrare nella hall recando un cesto d'uva. Convinto di essere un irresistibile conquistatore, il poeta andò difilato incontro alla ragazza. "Come ti chiami?", le domandò. "Carmela Maione", fu la risposta, data seccamente. "Cosa cerchi qua?", incalzò De Curtis. "C'è stata la vendemmia e porto l'uva al commendatore". "E tu che mestiere fai?" "Io? Io dormo!", esclamò quella con naturalezza. Colpito dall'estrema bellezza della ragazza, dalla sua spigliatezza e dall'involontaria comicità del suo atteggiamento, Giambattista De Curtis andò a rintanarsi nella sua stanza e scrisse la canzone "Carmela" che segnò il suo esordio come musicista, pure se riusciva a suonare il pianoforte soltanto con due dita.
Nel 1897 Giambattista De Curtis incoraggiò il fratello Ernesto a musicare la sua poesia "'A primma vota" che segnò l'inizio di quella grande collaborazione tra i due fratelli. Tra le altre canzoni dei fratelli De Curtis c'erano "'A surrentina", "Amalia" (dedicata ad Amalia Russo, futura moglie di Ernesto), "Sò 'nnammurato 'e te!", "Pane e cepolle", "I' mm'arricordo 'e te" (Lucia, Lucì)), "Te vene a mmente?", "Sto penzanno a Maria", ma il successo più grande loro diede la canzone "Torna a Surriento!" che ha la storia interessante di nascita:
Giuseppe Zanardelli, il settanteseienne presidente del consiglio, decise, nel settembre del 1902, di compiere un viaggio di tredici giorni in Basilicata. A Sorrento aveva deciso, appunto, di fare una breve sosta, prima di avventurarsi fra i monti e le valli della Basilicata. Sapeva che avrebbe dovuto raccogliere moltissimi "gridi di dolore" da parte dei sindaci dei paesini lucani che avrebbe attraversato, ma non immaginava affatto che la prima lamentela l'avrebbe accolta proprio a Sorrento. Zanardelli, arrivato a Sorrento, andò a prendere alloggio nell'"Imperial Tramontano Hotel", il cui propretario era un tal commendator Guglielmo Tramontano, sindaco della cittadina. E al commendator Tramontano non parve vero di avere come suo ospite il presidente del consiglio dei ministri per esporgli non nella sua qualità di albergatore bensì in quella di sindaco, i vari problemi di Sorrento, il più grave dei quali era, secondo lui, la mancanza di un ufficio postale. "Vi ho assicurato che mi ricorderò dei vostri problemi, ma ora piantatela", tuonò Giuseppe Zanardelli, mentre il commendator Tramontano si allontanava mortificato. Lui vagò per le stanze del suo grand hotel, mugugnando: "Ci vorrebbe un'idea forte, per convincere Zanardelli". "Che ne dite di una canzone?" disse Giambattista De Curtis, "Gli dedico una bella canzone, a questo Zanardelli, e così lui si ricorderà dei problemi di Sorrento". Giambattista non ci pensò due volte: tirò fuori la canzone composta nel 1894 (in verità senza grande successo) e vi aggiunse dei versi d'occasione di chiaro tenore elogiativo. Ne venne fuori una vera e propria ruffianeria, che non aveva niente da spartire con il testo della bellissima canzone che tutti conoscono:
Sì 'a speranza 'e 'sta città
E t'amammo sempe 'e cchiù…
Pecché tu dicisse a lloro
'Na parola sulamente…
Il ritornello:
Ma nun ce lassà…
Che a ppoppa mena 'o viento…
Torna a Surriento,
Fance scialà!
Quella sera stessa una improvvisata orchestrina salutò Zanardelli, in partenza per la Basilicata, con la versione di "Torna a Surriento!" confezionata per Zanardelli. L'ufficio postale di Sorrento venne inaugurato nel giro di pochi giorni. Tanta era stata la potenza di una canzone.
Trascorsero due anni da quell'avvenimento, quando Bideri la prese in edizione: il vegliardo grande editore riascoltò la musica e si entusiasmò. A richiesta, vennero fuori parole nuove. Rielaborata, riscosse un successo eccezionale.
Nel 1910, quando cinquantenne Giambattista De Curtis incominciò a sentirsi respingere dalle belle turiste straniere di Sorrento, si unì in matrimonio a Carolina Scognamiglio, dopo nientemeno, venti anni di fidanzamento. Nel 1916, andò a vivere al Vomero, in un pianterreno di via Luca Giordano, accanto alla villa Floridiana. Quella casa fu punto d'incontro di artisti. Giambattista continuò a scrivere, più di rado, canzoni, ma s'impegnò nella pittura.
Ebbe ultimi anni tristi, minati da una progressiva paralisi. Ha perduto anche la cara compagnia del fratello Ernesto, partito a tournée mondiale. Insieme al declino fisico, il poeta vive anche una triste condizione di solitudine: dal matrimonio con la Scognamiglio non gli erano nati bambini. Nelle ore di solitudine Giambattista scriveva accorate lettere al fratello Ernesto che a New York, a Rio de Janeiro e a Buenos Aires, esibendosi come pianista di Beniamino Gigli, portava la canzone napoletana in giro per il mondo.
Giambattista De Curtis morì il 15 gennaio 1926 a 65 anni. Poco dopo il postino recapitò una lettera di Ernesto, proveniente dall'Argentina: "Caro Giambattista, ti accludo la musica per la canzone che mi spedisti lo scorso mese. Spero che ti piaccia".